Le cromie in libertà di Francesco Selvi

 

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Esclusivamente astrattista? Non solo. Esclusivamente realista? Non solo. Grazie alla sua grande dote artistica innata e alla sua passione per i celebrati pittori del passato, quali gli Impressionisti francesi, gli Espressionisti tedeschi, i Macchiaioli toscani, gli Astrattisti americani e gli Informali italiani, in questi ultimi vent’anni l’autodidatta Francesco Selvi ha creato un mondo parallelo e personale caratterizzato unicamente da soggetti naturalistici strettamente legati all’inconscio e alla memoria perennemente in bilico tra astrazione e figuratività. Dalle sue opere pittoriche, Francesco Selvi mostra di essere un vero e proprio Informale materico in quanto, grazie alla spatola (in ricordo di Emilio Vedova) e alle pennellate estremamente materiche di matrice morlottiana, le intense, dense e pastose cromie vengono stese con energia istintiva e dinamica, con pulsioni inconsce e automatiche per realizzare immagini fini a se stesse, autosufficienti dalla realtà: questa libertà espressiva porta pace e tranquillità all’artista che, con gli impasti cromatici sensuali e puri in memoria cézanniana, crea la giusta occasione all’osservatore di entrare empaticamente in contatto con la natura e il suo IO più profondo. Proprio la Natura fa da padrona nelle opere di Francesco Selvi: come sostiene il pittore stesso, la sua arte non è semplicemente informale ma specificatamente INFORMALE NATURALISTA in quanto viene prediletta Madre Natura che, non viene meramente copiata sulla tela, ma utilizzata come fonte di ispirazione ricca di pathos. Come un moderno flaneur naturalista, l’artista raccoglie nella sua memoria frammenti naturali rapiti dal reale, li seleziona mentalmente, li associa a suo piacimento e secondo il suo stato d’animo, li indaga nei più piccoli particolari e li restituisce in una varietà caleidoscopica di tinte luminose e plastiche, in sperimentazioni immaginarie sempre diverse ed in divenire (proprio come insegnarono Monet, Degas e Van Gogh per citare solo alcuni esempi illustri): con le parole di Picasso la pittura è una professione da cieco: uno non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che dice a se stesso riguardo a ciò che ha visto. Come Ennio Morlotti negli anni ’50, Francesco Selvi ha saputo scavare nella realtà enigmatica della natura ed entrare in comunione con essa, escludendo così qualsiasi soggetto umano, fino a sfiorare il limite dell’astrattismo: dato che la pittura è poesia muta, come scrisse Leonardo da Vinci nel Trattato della pittura, queste tele devono così essere assaporate in silenzio per far sì che trasportino tutte le emozioni dell’artista e per trasformare anche l’osservatore in un flaneur.

                                                                                                                                            Giugno 2012